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I 50 anni della Doc Ostuni
Il bello dell’Italia è che ogni territorio ha le sue peculiarità, spesso molto differenti tra loro. Capita quindi di scoprire piccole perle a volte sconosciute.
Data 04/04/2022
I 50 anni della Doc Ostuni È quello che accade in provincia di Brindisi, per la precisione nell’areale ricompreso tra Ostuni, Carovigno, San Vito dei Normanni, San Michele Salentino e una porzione dei comuni di Latiano, Ceglie Messapica e Brindisi: in questa zona, tra il mare Adriatico e la Valle d’Itria, fatta di terre rosse ricoperte da distese di uliveti secolari, mandorleti, ficheti e seminativi, dove il vento ha impresso la sua direzione perfino ai tronchi di questi giganti, dove i campi coltivati sono limitati da millenari muretti a secco, fino alla fine degli settanta del secolo scorso prosperava la viticoltura. Sui terreni più profondi la vite trovava modo di insistere e sopravvivere ai frequenti periodi di siccità, allungando le radici nel basamento calcareo che contraddistingue buona parte della regione, fondamentalmente carsica.

Fu a quel punto che un lungimirante agronomo, Pietro De Laurentis, si trovò ad affrontare la dialettica che caratterizzò l'intero secolo, non solo in Puglia ma nell'intera Italia: vini da taglio o vini da pasto? Quantità o qualità? Commercio interno o internazionale? Vigna e basta o attenzione al varietale e alle più adeguate tecniche di coltivazione? Pigiature, fermentazione e affinamenti casuali o enotecniche adatte alla transizione qualitativa 800/900? Fra i primi in Puglia, ad Ostuni, la cantina sociale con a capo De Laurentis (da cui poi derivò il nome della omonima Cooperativa) trovò nella transizione verso la qualità la risposta, chiedendo e ottenendo, come il resto dell'Italia iniziava a fare, due denominazioni d'origine: Bianco Ostuni Doc e Ottavianello Ostuni Doc, che disciplinavano la produzione di un vino bianco e un rosso. Era il 13 gennaio 1972, esattamente cinquant’anni fa.

Non sempre però le storie seguono un percorso lineare, e infatti poco dopo, purtroppo, a causa di interventi legislativi che favorirono l’espianto della vite a favore dell’ulivo, accadde l’inaspettato: la vigna cominciò a sparire, la DOC rimase pressoché semplicemente un nome, e i vitigni che caratterizzavano i due vini disciplinati dalla stessa, rischiarono l’estinzione.

Solo recentemente, nell’ultimo decennio, qualche imprenditore visionario ed appassionato ha ricominciato ad allevare i vitigni minori che fanno parte del disciplinare e a vinificare secondo le regole dallo stesso imposte: il Bianco Ostuni DOC e l’Ottavianello Ostuni DOC hanno così rivisto la luce, finalmente, ed iniziano a farsi largo nella viticoltura pugliese, ritagliandosi degli spazi di visibilità finora inediti.

Impigno e Francavidda, praticamente sconosciuti, sono i due vitigni che concorrono alla creazione del Bianco Ostuni: il primo, dà verticalità al vino; il secondo aggiunge una aromaticità fruttata, quasi tropicale. Insieme danno vita ad un bianco più complesso dei soliti che si bevono in Puglia, con una buona mineralità al naso e bella freschezza e sapidità in bocca. Ottimo in abbinamento a pietanze di mare, sostiene bene anche le carni bianche ed esalta le fritture: con un panzerotto pugliese, ad esempio, è perfetto.

Base fondamentale del rosso era, ed è, invece, l’Ottavianello, vitigno principe dell’area, proveniente a quanto pare da Ottaviano in provincia di Napoli, da dove fu portato sul finire dell’800 a San Vito dei Normanni dal Marchese di Bugnano. Qui prese piede in maniera preponderante: fino agli inizi degli anni ’70 le campagne erano piene di vigne di Ottavianello, ed in ogni casa si produceva il rosso da utilizzare per i pasti famigliari. Omologo del francese Cinsault e del sudafricano Hermitage, in questo angolo di Puglia regala un vino dal colore rosso rubino luminoso, dai sentori di melagrana, viola e frutti rossi, grande speziatura e perfetta rispondenza gustolfattiva, con in bocca un tannino leggero che lo rende estremamente bevibile. Perfetto per gli abbinamenti più tipici della cucina dell’alto Salento, accompagna alla perfezione le orecchiette al sugo di pomodoro e cacioricotta, ma anche i classici involtini di carne al sugo che sono il piatto invernale della domenica; sta benissimo su una parmigiana di melanzane ma si può osare, addirittura, leggermente refrigerato, su una zuppa di pesce fresco.

Ad oggi le aziende che producono Ottavianello Ostuni DOC sono cinque: Greco, Tenute Rubino, Agricole Vallone, Vallegna, e Villa Agreste; il Bianco Ostuni DOC invece lo producono solo le aziende Greco e Villa Agreste.

Al dr. Vincenzo Iaia, proprietario dell’azienda Villa Agreste, che vinifica solo vitigni minori autoctoni, abbiamo chiesto cosa spinga un produttore a prendere una decisione del genere: “Quando abbiamo deciso di realizzare un «progetto vino», abbiamo pensato che il modo migliore per valorizzare l’identità locale fosse esattamente quello di riprendere e dare visibilità ai vitigni minori che rischiavano di scomparire definitivamente. Il lavoro da fare risulta sicuramente più complesso che se avessimo impiantato i vitigni pugliesi più noti e maggiormente diffusi, ma in questo modo ogni giorno è una scoperta e riusciamo (o almeno ci proviamo) a dare valore alla nostra storia. Sono convinto, inoltre, che l’enoturista, il winelover, siano al momento molto interessati alla scoperta di piccole novità, pertanto, questa può essere una buona molla per visitare un territorio, e inoltre, che il momento sia quello più proficuo per la valorizzazione dell’Ottavianello. Un rosso che ha tanto da dire e noi proveremo a dargli voce.”.